Il Tempo necessario per Cambiare…

Il Tempo necessario per Cambiare…

Quanto tempo è necessario per cambiare…o più semplicemente per sviluppare una nuova abitudine? Per quanto tempo occorre ripetere un comportamento o un’azione affinché essa possa poi definirsi “un’abitudine”? 18 giorni, 250…? Questi, infatti, sono i numeri che si è soliti leggere negli articoli su internet o ascoltare ai convegni sul tema delle neuroscienze. Qual è dunque la cifra esatta? Probabilmente la domanda così formulata è di per sé errata e non ha una risposta univoca. Perché dipende!

E’ vero che a volte i cambiamenti sono istantanei (ve lo può raccontare chi da un momento all’altro ha smesso di fumare definitivamente), ma essi derivano sempre da meccanismi neuronali che si erano già radicati in noi in qualche modo in precedenza.

Innanzitutto occorrerebbe chiarirsi sul significato di “abitudine”, ed in questo i recenti studi sulle neuroscienze ci vengono in aiuto. Un nuovo comportamento si può definire abitudine se il suo ripetersi ha modificato plasticamente il cervello in maniera duratura, formando quello che tecnicamente è definito un “chunk” neurologico dedicato a quella specifica abilità. Un chunk si può a sua volta definire come un gruppo di neuroni ove è stata immagazzinata un’informazione che si attivano contemporaneamente nel momento in cui essa viene utilizzata (Clayton Lewis – 1978). Ripetere l’attività aiuta i neuroni a specializzarsi. Se facciamo un paragone con gli studi, gli esercizi e la loro ripetizione sono ciò che consente alla teoria di “fissarsi” nel nostro cervello.

La riflessione che subito sopravviene è che gli esseri umani sono tutti diversi l’uno dall’altro, con cervelli diversi. Ne consegue che i tempi e le modalità di formazione dei suddetti chunk possono differire in maniera significativa. In giovane età, ad esempio, la plasticità del cervello è molto più spiccata. Vi sono studi dell’Università di Pisa in tal senso che dimostrano come aree del cervello danneggiate nei primi anni di vita trasferiscono le loro funzioni in altre zone.

La stessa formazione di chunk può essere favorita o meno dal tipo di reazioni ormonali che il gesto compiuto e ripetuto genera. Un’attività piacevole (come ad esempio mangiare Nutella) che facilita la secrezione di dopamina e serotonina si fisserà più facilmente rispetto ad altre associate ad aspetti meno ludici (ad esempio andare in palestra o fare una dieta per dimagrire). Per queste ultime sarà sempre necessario lo sforzo mentale per imporci l’azione e la disciplina.

Altro aspetto da considerare è che quando vogliamo “formare” una nuova abitudine, essa è spesso in contrapposizione ad altre già in uso, con un loro chunk già formato nel nostro cervello che non può essere disattivato all’improvviso, ma continua ad influenzare psicologicamente e neurologicamente le nostre azioni. Nell’esempio di prima del “mangiare Nutella”, il giorno in cui si decidesse di voler smettere si dovrebbe contrastare un potentissimo chunk ben radicato nel nostro cervello (motivo per il quale è ancora più difficile abbandonare qualsiasi forma di dipendenza da sostanze).

Cosa fare dunque per attuare un cambiamento definitivo nella direzione da noi desiderata? In questi casi la strategia migliore è avere ben chiaro l’obiettivo (si veda anche la Teoria di Locke e Latham sul Goal Setting, 1990) che si vuole ottenere ed i suoi benefici, ed allenare costantemente la propria determinazione ed autodisciplina, in modo da formare chunk duraturi utili in tante situazioni diverse. Porsi continuamente nuovi obiettivi e sfide contribuisce anche positivamente al rallentamento della curva di perdita di plasticità del cervello.